Ovvero Una povera giovane bolognese alle offerte per la patria nella primavera del 1848
— O povera fanciulla,
dimmi, perchè tu piangi
perchè così tu cangi
nel viso di color? —
« Tutti là recan doni,
io sola, poveretta!
cosa non ho eh' io metta
sull' ara dell' amor.
Non ho alle orecchie un vezzo,
non ho un anello in dito!
Diran ch' io mai sentito
di patria amor non ho.
Ma oh Dio! Dio! ti ringrazio!
Anch' io son ricca, anch' io
un don ch' è tutto mio
sull' ara offrir potrò.
O genti, date il passo
a Elisa poverella;
è poca sì, ma è bella
l' offerta ch' io vuo' far».
Ella è già innanzi all' ara,
ognun l'affissa e dice:
L' Elisa ! una infelice !
Che cosa può donar?
Intanto la fanciulla
ambe le man si porta
dov' ha in bei nodi attorta
la pompa del suo crin.
Qual rio che vien da un balzo,
ondeggiando in anella
sciolta la chioma bella
giù piove a un dolce inchin.
E l' una mano stringe
've un laccio i crini attorce:
l'altra vibra una force
Il voto a consumar.
Poi ratta alzando il viso
tinto in color di rosa,
ride la ingenua, e posa
la chioma in sull' altar.
E inginocchiata dice:
- Tutta la mia ricchezza,
tutta la mia bellezza.
patria, consacro a te.
Non più del vago crine
La lode avrò, sì cara,
ma titolo d' avara
mai non daranno a me.
E poi, fanciulla sono;
ritorneran mie chiome:
la gloria al tuo bel nome
Possa tornar così —.
Oh Elisa! e invece or vedi
Il barbaro soldato
passar là dove alzato
fu quell' altare un dì.
Forse il crudel, guardandoti,
chiede: — Chi è costei?
Se gli diran chi sei,
forse t' insulterà.
Ma ti sovvenga allora
la gioia che sentisti,
quando tu il dono offristi
che ti crescea beltà.
(Corfù, agosto 1819)
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